giovedì 24 marzo 2011

L'alba dei Floyd

Il rock più puramente psichedelico dei Pink Floyd emerge con un'esplosione vera e propria in quello che è il loro album d'inizio: The Piper At The Gates of Dawn del 1967. E' il battesimo della band, allora capitanata da Syd Barret, e che sotto la sua guida farà alcuni splendidi album, prima che il cantante e leader del gruppo ceda alla droga e alle pressioni discografiche. Qui sotto metterò alcune recensioni dell'album, così da spiegare le canzoni e farvi calare nell'atmosfera dei Floyd di quegli anni (diversissimi da quelli capitanati poi da Waters e ancor più diversi da quelli degli ultimi anni con Gilmour alla leadership).


RECENSIONE I


Pink Floyd


The Piper at the Gates of Dawn

(Columbia/EMI - 1967)

Album, Psychedelic Rock

Cover The Piper at the Gates of Dawn



Pink Floyd nascono nel 1964 a Cambridge (UK), dalle ceneri di una band rhythm'n'blues dal nome continuamente variabile (Sigma 6The MeggadeathsThe Tea SetThe T-SetThe Architectural AbdabsThe Abdabs,The Screaming Abdabs).

Nel nuovo progetto, inizialmente sotto il nome The Pink Floyd Sound, confluiscono gli ex-membri Rado "Bob" Klose (chitarra), Roger Waters (chitarra), Nick Mason (batteria), Richard Wright (tastiere, fiati e cori); il nome viene scelto ispirandosi a quelli dei due bluesmen Pink Anderson e Floyd Council.
La formazione viene completata con l'entrata in line-up del chitarrista e cantante blues-folk Syd Barrett, che diventa la voce principale e fa spostare Waters al basso.

La band diventa in breve l'attrazione principale di locali inglesi underground come UFO Club, Marquee Club e Roundhouse, grazie soprattutto alla cura per gli effetti scenici, tra i primi davvero psichedelici dell'epoca.

Esordiscono sul mercato nel 1967 con i singoli Arnold LayneSee Emily Play e Apples and Oranges, tre composizioni psychedelic-pop che cavalcano i nascenti trend musicali oltreoceanici.
Poco prima, Klose aveva lasciato la band perché musicalmente più legato al jazz.

Il primo disco The Piper at the Gates of Dawn (Columbia/EMI/Tower/Capitol, 1967) è interamente retto da Barrett, vera mente dietro tutte le composizioni. Si tratta anche di un esordio spettacolare e imprevedibile, che resterà negli annali storici come uno dei dischi psychedelic-rock più creativi e influenti di sempre.
I Pink Floyd riescono ad unire in un unico disorientante stile lo "space rock" delle tracce più visionarie dei The Byrds, l'estetica freak di Frank Zappa, il chitarrismo psychedelic-rock semi-onirico dei 13th Floor Elevators, le melodie del Merseybeat, e le tastiere febbricitanti dei The Doors.
In realtà uniscono tutte queste influenze rimodellandole pesantemente: i timidi abbozzi "space rock" byrdsiani evolvono in spaventose jam metafisiche che riescono a superare persino la contemporanea 3rd Stone from the Sun di Jimi Hendrix; lo spirito freak zappiano viene depurato dall'amara satira sociale mantenendone però intatti il surrealismo, la negazione delle barriere musicali e la goliardia; le chitarre psychedelic-rock evolvono in esplosioni e implosioni schizoidi, rimodellando con balzi improvvisi l'intero umore delle composizioni.

Il primo brano Astronomy Domine è già il manifesto dell'opera: chitarre che passano dal blues-rock a dilatazioni oniriche, percussioni tribali, tastiere a tratti dissonanti che avvolgono tutta l'atmosfera creando richiami "spaziali", incursioni di voci filtrate come se provenissero da un'astronave, melodie vocali Merseybeat distorte in maniera surreale.

Lucifer Sam accentua sia le voci Merseybeat, sia il chitarrismo blues-rock, sia il ruolo primario delle tastiere nel conferire al brano un'atmosfera dilatata (in contrasto con il battito ritmico frenetico).
Matilda Mother rilegge attraverso l'eccentricità freak zappiana le polifonie vocali di The Beach Boys e The Beatles, oltre ad introdurre il primo assolo tastieristico orientaleggiante.
Flaming, fatta uscire anche come singolo, è introdotta e contaminata da arrangiamenti goliardici e dissonanti a fiati e percussioni, mentre l'organo di Wright evoca un tappeto sonoro liturgico, e le chitarre unite al pianoforte concludono l'evoluzione in un irreale quadro onirico.
Pow R. Toc H. viene introdotta da bizzarri versi umani derivanti direttamente dall'estetica avant-garde di Edgard Varèse e John Cage, mentre il pezzo prosegue sfruttando in maniera anomala la registrazione in stereo, con un pattern melodico in un canale e un'orgia di dissonanze (percussioni, voci, distorsioni chitarristiche) nell'altro; tramite un'elevazione liturgica all'organo il pezzo sfocia poi ancora una volta nella dilatazione spaziale, finché gli arpeggi di chitarra e le voci non esplodono in un ultimo climax caotico.
Take up Thy Stethoscope and Walk riprende le voci umane bizzarre e le inserisce come spezzoni al termine dei versi ritmici, mentre la struttura segue ancora pattern imprevedibili derivanti molto più dal jazz che non dal rock: strofa vocale polifonica e surreale, chitarra intenta in un blues-rock zoppicante che quasi anticipa Captain Beefheart, linee di basso epilettiche ma groovy, orgia di assoli chitarristici distorti e percussioni tribali, drumming in climax frenetico che viene confinato in un canale e poi fatto passare dall'uno all'altro, coda freak impazzita (Zappa stesso non avrebbe saputo concludere meglio).
I quasi 10 minuti della suite Interstellar Overdrive evolvono magnificamente e sorprendentemente gli abbozzi "space rock" dei The Byrds, coniando una nuova formula di psychedelic-rock spaziale e metafisico; il pezzo rappresenta anche il trionfo stilistico di Barrett, che esplode con fraseggi in stream of consciousness, rumorismi dissonanti avant-garde, sperimentalismi distorti alla Hendrix (quando la chitarra imita i rumori di un'ipotetica astronave), mentre il resto della band lo segue nella jam (ma il contributo fondamentale sono ancora una volta soprattutto le tastiere lisergiche di Wright); durante la coda, il pezzo gioca con lo stereo passando in continuazione da un canale all'altro.
The Gnome accentua la goliardia alla Zappa e i tocchi folk-rock, riflettendo al meglio l'anima pastorale della band (che ha anche influenzato la stessa scelta del titolo del disco, preso da The Wind in the Willows di Kenneth Grahame, un classico della letteratura per l'infanzia), mentre Chapter 24 regala forse le melodie più catchy e allegre, con le polifonie vocali che si stagliano su di un tappeto a metà tra la lullaby bucolica e l'esperimento avanguardista (basso che compie incursioni blues fugaci, massicci overdub tastieristici, coda stratificata e dilatata), perfezionando uno stile di psych-folk che diverrà probabilmente il più influente di sempre nel genere.
Scarecrow è un'altra parentesi infantile, valorizzata dagli arpeggi folk, dagli archi e dagli arrangiamenti percussivi bizzarri, più che altro un'introduzione alla conclusiva Bike, momento in cui la band (o, meglio, Barrett) sfoga la propria anima più freak e surreale, con una prima metà immersa nel vaudeville da fiera ambulante e una seconda metà di jam rumoristica percussiva.

Nella (nettamente inferiore) release per il mercato statunitense mancano Astronomy DomineBike e Flaming, rimpiazzate dal singolo See Emily Play.


LINE-UP:
- Syd Barrett - chitarra, voce
- Nick Mason - batteria, percussioni
- Roger Waters - basso, voce
- Richard Wright - Farfisa Compact Duo, organo, piano, voce

TRACKLIST:
1. Astronomy Domine (04:12)
2. Lucifer Sam (03:07)
3. Matilda Mother (03:08)
4. Flaming (02:46)
5. Pow R. Toc H. (04:26)
6. Take Up Thy Stethoscope and Walk (03:05)
7. Interstellar Overdrive (09:41)
8. The Gnome (02:13)
9. Chapter 24 (03:42)
10. Scarecrow (02:11)
11. Bike (03:21)

RECENSIONE II
La fantasia esplose nella cultura giovanile Inglese sotto forma di cartoncini colorati e zollette di zucchero che venivano consumati a dismisura e senza regole.
I Pink Floyd furono parte di quella Gioventù sognante e controcorrente e nell'annus Mirabilis 1967publiccarono il loro primo Album, "The Piper At The Gates of Down", con un titolo preso da un libro di racconti per bambini, titolo che usci dalla mente infantile e contorta di Syd Barrett anima kaleidoscopica del gruppo, autore principale di quasi tutte le canzoni.
Quest' album ebbe una cruciale importanza nel mercato Inglese perchè vendette bene e usci qualche mese dopo il grande "Sergent Pepper", è stato il primo Grandissimo capolavoro dell'Underground d'oltremanica che convinse le giovani generazioni a sognare ad occhi aperti sfidando le utopie della realtà "malsana e conformista".
Canzoni come Astronomy Domine offrono gli spunti per riuscire difficilmente a capire lo stato mentale di Barrett diretto in universi conosciuti solo dalla sua mente ma è anche un'esempio galattico di grande lirismo psichedelico.
Interstellar Overdrive lunga suite è il capolavoro secondo i critici dell'album, una fusione di strumenti in trance, una musica che scopa i preconcetti stilistici della normale canzone. Un'esempio di forma libera e strana che affonda in latitudini Jazz a mo di acido.
Canzoni come The GnomeChapter 24Scarecrow sono le classiche allucinate filastrocche da cantare ai giovani "bambini" Freak Inglesi ed alle generazioni future come la mia, sembrano pezzi di collezione pittorica nei tappeti sonori della mente Sregolata Barrettiana. In chiusura si piazzaBike una delle canzoni più originali del gruppo dove l'essere strambi è una forma libera e Barrett lo era in quel periodo, libero di poter vagare in terre ignote con la spinta ingannatrice e propulsiva tipica delle esperienze lisergiche sessantasettine, la canzone chiude magnificamente un'album tra i più importanti della musica rock dove la coesione tra esperienze di vita e sonore da vita ad un manifesto assai importante nell'evoluzione musicale e culturale del periodo.
Il merito quasi totale va a Syd Barrett che grazie alle sue percezioni ed alle sue doti eccentriche di musicista si guadagnò un posto fra i grandi del rock e, con un biglietto senza ritorno si perse nei meandri psichedelici della sua mente.
E non si riprese più.

RECENSIONE III
Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su Ondarock.it
Il principio nella genesi del sistema planetario Pink Floyd fu Syd Barrett.
E Syd Barrett creò i Pink Floyd, la psichedelia malata, gli spettacoli di luci stroboscopiche, la ricerca sonora, e uno stile chitarristico naive... E il settimo giorno, come le stelle blu che brillano troppo, fuse per sempre, esplodendo radioso nel cielo, immensa supernova.
Ecco un disco rock così antico ma così attuale: "eppur si muove" nonostante abbia 40 anni suonati-bene-.Anno di grazia 1967, i Beatles sono al culmine della loro carriera, hanno abbandonato le ormai trionfali esibizioni live per dedicarsi interamente ad albums in studio, mentre i P.Floyd sono all'album di esordio dopo due singoli andati piuttosto bene in classifica (Arnold Layne e See Emily Play) e forti soprattutto di un grosso seguito underground per via degli psichedelici "light show" all'UFO club, che consistevano nella proiezione diretta sul gruppo di diapositive allucinate sulle quali era posto dell'inchiostro. A contatto con il calore della lampadina, l'inchiostro si scioglieva e creava effetti visivi di grande impatto. Con il cambio di ritmo mutavano anche le immagini, in un tripudio di arte visionaria. La band poi introdusse anche un'altra innovazione nel live, quella del suono quadrifonico: collegando gli strumenti ad amplificatori posti ai quattro lati del locale, suoni diversi provenivano da punti distanti fra loro, dando così l'impressione che la musica avvolgesse il pubblico.
Ad Abbey Road negli studi EMI, i Beatles registrarono il Sgt. Pepper che uscì il 1/6/1967, e i P.Floyd The Piper At The Gates Of Dawn, stampato il5 Agosto del 1967. Si dice che il mixaggio sia stato eseguito con l'ausilio dallo stesso Barrett che spostava i cursori come meglio credeva-forse a caso- ma deciso ad ottenere quel suono sospeso, spaziale.
La produzione è di Norman Smith, che era stato il principale ingegnere del suono dei Beatles per i primi anni ‘60. Ma i Floyd vanno molto più lontano i confini musicali dei Fab Four: si va dalle improvvisazioni avanguardistiche e quasi neo jazz della suite, alle canzoncine pop comenursery rhyme (filastrocche / ninne-nanne per bambini). Syd Barrett, golden boy e menestrello spaziale, per via del troppo LSD e forse per una predisposizione schizofrenica, uscirà pian piano di scena, dopo aver collaborato solo ad un paio di canzoni del secondo album dei Floyd e due album solisti nei primi anni 70. Il paradosso sarà che l'uscita di scena alimenterà il suo mito.
Kevin Ayers gli dedica una canzone, nasce persino una Syd Barrett Appreciation Society, con un suo organo, la rivista Terrapin. A metà del decennio, più d'un gruppo del nascente punk lo vorrebbe come collaboratore o produttore: i Damned e gli stessi Sex Pistols, Jimmy Pagesognerà per anni di produrre un disco della Testa Matta, si dice, pure i Blue Oyster Cult-ma è una leggenda metropolitana o qualcosa che lessi su un vecchio libro di testi si Pink? Boh qualcuno mi aiuti-; David Bowie farà una cover di See Emily Play su Pin-ups, es is dice che ha influenzato gli Xtc, diversi gruppi new wave-True West-Robin Hitchcock, e avrà tributi degli artisti più svariati...
CANZONE PER CANZONE
Schietto ed immediato, come ogni esordio che si rispetti, The Piper At The Gates Of Dawn è destinato a resistere all'usura del tempo e delle mode. L'album raccoglie 11 canzoni perfette, diverse una dall'altra ma legate dal filo rosso del sogno: fu subito un grande successo raggiungendo il sesto posto delle classifiche inglesi, dove rimangono per 20 settimane nei Top 20.
Il messaggio di un'opera ispirata lo rivela già la scelta della copertina, una sovrapposizione miscelata dei volti dei musicisti, con tinte fortemente allucinate. Otto degli undici brani sono firmati da Syd Barret, i restanti tre sono opera di Roger Waters, in collaborazione con lo stesso Barrett, Wright e Mason. In Italia l'album esce con una copertina diversa da quella originale inglese, con Gilmour anzichè Syd Barrett, anche se in realtà il primo diventerà membro della band nel secondo disco. Il titolo di questo LP viene dal titolo del settimo capitolo del libro di Kenneth Graham "Wind in the Willows", dove Ratty e Molly cercano un animale perduto, e hanno una specie di esperienza religiosa quando incontrano, appunto, "The Piper At The Gates Of Dawn", il Pifferaio ai cancelli dell'alba (che molti identificano nel dio Pan). Nel 1967 il gruppo presentava una formazione a quartetto, con Syd Barrett alla chitarra, alla voce, Roger Waters al basso, Richard Wright alle tastiere, e Nick Mason alla batteria. In questo disco Barrett e compagni attuano una vera rivoluzione copernicana nell'universo rock.La produzione di Syd Barrett scaturisce in gran parte dalle sue esperienze dei "viaggi" in LSD di una mente visionaria. Il "Piper" sposa, in modo assolutamente alternativo per l'epoca, mix di pop e ardita psichedelia, corredando questo con testi "acidi" e fortemente allusivi sotto quel velo di fanciullesca innocenza. Il naturale prosieguo del successo dei primi due 45 giri dei Floyd, "Arnold Layne", censurata dalle radio per i riferimenti alla storia di un travestito, e quindi la magistrale "See Emily Play", apparentemente una semplice canzone beat dal testo un po' flower power e il finale enigmatico. Emily è una lucida follia di chitarre slide distorte e saturate,di tonalità orientali, delay a nastro, nonché sovraincisioni, organi spaziali e carillon, e divenne un capolavoro di fine anni 60. Dopo il successo del singolo il gruppo entra in sala per il primo album.
L'album dei primi Floyd è veramente psichedelico e tutti i brani nascondono una punta di follia rendendoli unici e innovativi per il loro genere. Il bip-bip di "Astronomy domine", il Signore dell'astronomia, apre le danze all'insegna della psichedelia più malata, la stessa che scosse la mente di Barrett, tanto da essere ossessionato da pericoli e spie extraterrestri: realtà e illusione si confondono, mentre l'angoscia cresce lentamente e alla fine prende il sopravvento, proprio come nella vita del compianto Syd.
"Astronomy domine" è in pratica il resoconto di un viaggio stellare intrapreso da Barrett attraverso l'uso dell'LSD (si narra addirittura che per orientarsi abbia portato con sè un manuale di astronomia, per le allusioni nel testo a Dan Dare, autore inglese di opuscoli del genere o che orbitasse in acido intorno a della frutta tonda, boh!).
L'astronave Pink Floyd decolla sino alle stelle, tra rumori di apparecchiature e sibili di comete a cui succede un basso pulsante e continuo, ultima connessione radio con la terra, mentre la chitarra onnipresente, insieme a un canto solenne svagato al tempo stesso, sembra errare in un panorama cosmico oscuro e tenebroso. Il tappeto stellare tessuto dalle tastiere dà solidità al tutto amplificando l'inquietante sensazione d'infinito. Nel testo vi è anche un accenno a Oberon e Titania come riferimento al Sogno di Mezza Estate di Shakespeare e ai nonsense di una finta radiostazione spaziale che parla di un oroscopo: "Moon in both [houses]..." ..... "...Scorpio, [Arabian Skies], Libra...".... two/ten] seconds to [ignition]..."..... "...all systems satisfied..."."...just completed orbital...". Come affermò Gilmour in un'intervista dei tempi di Ummagumma, fare dal vivo Astronomy domine gli dava la sensazione di suonare un rock'n roll a super volume; e in effetti, i blues di Bo Diddley e i vecchi rock'n roll erano il repertorio che Syd adolescente suonava nelle festicciole domestiche. Ma di tutto ciò c'è ormai una completa trasfigurazione, del passato rimane solo una lontana eco: ormai il nostro si ritrova sospeso nel bel mezzo dell'universo, ne conosce l'immensità e prova l'ebbrezza mista ad angoscia di esserne il "signore"..., tanto da venirne sospinto in volo dalle pulsazioni vitali della sua chitarra e dalle percussioni di Mason, che enfatizza le parti più drammatiche. Nel momento in cui il gruppo (basso, tastiera e batteria) creava linee melodiche solide e compatte, Barrett era libero di viaggiare con la propria chitarra verso luoghi conosciuti solo nella sua mente, nella sua distorta immaginazione.
Syd non è un guitar-hero di fine sixties, ma la sua tecnica essenziale cede il passo ad un modo molto originale e quasi impressionistico di suonare-era anche un discreto pittore-forse dovuto al fatto che il suo primo strumento fu un banjo: attento al rumorismo, al suono dipinto, le radici in Bo Diddley si univano ad un uso molto personale della slide, insieme all'incisività dei Rolling Stones di Brian Jones, alle violenze ritmiche e ai feed-back di Hendrix , per finire al ronzio spaziale della dodici corde elettrica di Mc Guinn dei Byrds.
La seconda canzone è "Lucifer Sam", un futuribile e strambo proto-hard rock, con un riff agile, ossessivo e incalzante e un accompagnamento di tastiere che sembra richiamare un'atmosfera orientale. Il testo è arcano ha riferimenti ad una strega, Jennifer, e vi è chi vi ha visto visto persino dei riferimenti agli emisferi destro e sinistro del cervello, mentre il ritornello da nursery rhyme, da filastrocca, narra di un magico gatto (Lucifer) che ha qualcosa di inspiegabile.
Barrett cerca persino di ricreare con la chitarra i miagolii del gatto protagonista del testo della canzone. L'atmosfera si fa ancora più fiabesca nel terzo brano, "Matilda mother", Barrett si cimenta nel ruolo di menestrello (anticipando in pratica i racconti fiabeschi del progressive e del rock romantico), portandoci nel mondo di una favola, che si interrompe e poi riprende. La solenne atmosfera creata durante il racconto è interrotta da un malinconico "Mother, tell me more"."Matilda Mother" rievoca con delicatezza i tempi andati di un'infanzia felice, il fascino delle fiabe, l'immaginazione come via di fuga dal dolore, con quegli amici esistenti solo nella fantasia idilliaca dei bambini."Flaming", la canzone successiva, è un collage di suoni, soffi pneumatici e rumori inseriti in una atmosfera sognante e cosmica. Musicalmente strampalata e dal testo chiaramente allucinato (solo, nelle nuvole/viaggio per telefono, non posso toccarti, ma dopo potrei), è la fotografia di un viaggio mentale in un universo sonoro fatto di echi crescenti, chitarre scroscianti, tamburi, campanelli e una miriade di rumori: schiocchi, tonfi secchi, fruscii, quasi a trasmetterci l' infinità di sensazioni che una mente alterata può essere in grado di carpire dalle luci, dai colori, dai profumi e dai suoni della natura... La seguente "Pow R. Toc. H" consiste in un semplice giro di basso ripetuto fino all'infinito, che crea una atmosfera scurissima. Le percussioni enfatizzano i punti nevralgici, e sottolineano l'avvento degli urli finali tra voci di indiani lisergici, cori finti, aperture solenni di organo che però non portano da nessuna parte:come immagini buttate sopra un'atmosfera cupa e densa di una jam di blues che costruisce, attorno all' ossessivo giro di basso di Roger Waters, una sorta di giungla primitiva, in un sovrapporsi di versi scimmieschi, sussurri e soffi. La febbrile improvvisazione prosegue con "Take thy Stetoscope and walk" firmata Roger Waters, è un esperimento basato sulla ripetizione ossessiva delle parole "doctor doctor", ed è forse la testimonianza del ritorno da un viaggio, o probabilmente lo stato di una mente malata e oppressa. Tuttavia nel finale si risolve riversandosi in una melodia che guarda al beat, con cori sovrapposti e un allucinante organo monotonale suonato da Wright. Il brano successivo è "Interstellar overdrive", la cronaca di un viaggio umano nell'universo e un saggio di arte visionaria: oggi verrebbe definita come "post-rock". Introdotta da un riff da film dell'orrore, sviluppato e riciclato dal riff di un pezzo dei Love cover di Bacharach, My little red book..mamma mia che giro....
si sviluppa nei suoi undici minuti seguendo una sola regola: almeno uno strumento deve mantenere il ritmo. E sopra questo ritmo interpretato ora da uno, ora da un altro strumento, si dipana una jam session acidissima, dove la chitarra selvaggia di Syd sfoga le inquietudini sonore risucchiate dai gorghi cosmici dell'organo di Wright, creando un clima surreale fatto di astronavi che sfrecciano, di asteroidi che si scontrano, di alieni e alienazioni, di suoni spaziali, di tempeste stellari, di quiete cosmica, di paradisi intravisti e umanamente irraggiungibili. Barrett è completamente in viaggio.
La sua mente disegna scene inquietanti e paurose, o ancora si immerge in liquidi universi che sfuggono alle possibilità umane tra montagne di accordi sgangherati, sotto giungle di strepiti liberi e feroci uragani ritmici atti ad evocare l'aspetto più oscuro dell'immensità. I suoni e i rumori sembrano creati e gettati casualmente nella favola mistico - musicale : una tempesta di suoni distorti, di pura sperimentazione rumoristica proveniente dalle profondità cosmiche più remote, e ci mostra scenari desolati di crateri lunari, cresce e decolla nuovamente alla conquista di nuove galassie...Il bip bip interstellare di questa jam seminale sarà poi ripreso dai Floyd nell'inizio della suite Echoes, con una nota di piano invece che di chitarra. Lo stesso sarà per i giri ossessivi del basso di Waters, che da See Emily Play in poi via via si farà un po' più funky nelle suite Echoes e Atom Heart mother, e nei brani MoneySheep, sulla pallosissima Shine on you crazy diamond, e infine su Another brick in the wall.
Interstellar Overdrive è ricordato anche per il grande impatto live e termina con l'atterraggio dell'astronave con fischi di frenate simulate con la chitarra. Subito attacca "The Gnome":" Voglio raccontarti la storia di un ometto, se posso" esordisce Syd in saltellante filastrocca dai toni fiabeschi ispirata a "Il Signore degli Anelli" di R. Tolkien. Si prosegue con i canti e cori mistico-cabalistici di "Chapter 24", ispirato al libro "I Ching", uno dei libri fondamentali del confucianesimo, il cui titolo richiama appunto al 24° capitolo di tale scritto, intitolato "Fu", ovvero cambiamento/successo. Il testo è oscuro e metaforico, le tastiere sono in primo piano e la canzone finisce con un coretto quasi orientaleggiante, dall'incedere solenne e che non arriva da nessuna parte, mentre uno stralunato breve assolo di chitarra riciclato da un pezzo escluso, Sunshine, va in dissolvenza.
Segue "The scarecrow", dove su una base ritmica di nacchere simile al calpestio di zoccoli di cavalli, Syd canta la filastrocca dello spaventapasseri inanimato e fermo, condannato a spaventare gli uccelli intenti a razziare le spighe di grano...Questa canzone è un gioiellino di rock minimalista, con pochi accordi di chitarra elettrica e il "rinascimentale" mellotron di Wright, che accentua la sensazione di dolce malinconia del pezzo, mentre il testo è un allegoria di uno stato umano di depressione e impotenza, che Syd riprenderà quando già molto squilibrato, comporrà Vegetable Man. Il disco si chiude con la folle "Bike" dove emerge l'anima freak di Syd e le prime stranezze di questa chiusura d'album purtroppo fanno presagire l'imminente "implosione" del leader, quasi un prematuro epitaffio di Barrett che poco dopo perde la misura, manifesta segni di squilibrio mentale ed entra in una sorta di trance impenetrabile.
Il testo allude all'amore un po' stralunato per una ragazza, come in una stravagante -per non dire schizoide-,serenata in cui Syd si rivolge alla sua fanciulla e si chiude con un tentativo di sconfinare nell'avanguardia, tra campanelli impazziti e folli trombette e carillon che suonano da tutte le parti, fno quasi a voler dire: la sveglia suona, il sogno è finito...
Quest'album è un "vinile miliare" del rock psichedelico. Indiscusso protagonista è Syd, di cui va sottolineato l'incredibile approccio compositivo, la capacità di sperimentazione chitarristica, l'audacia delle soluzioni architettate. Suo braccio destro Rick Wright, che con il suo "organetto"mono -penso ai Gem, ai Farfisa- riuscirà a canbiare delle melodie orientali in visioni d'Universo.
Sono o non sono questi, in verità, i veri Pink Floyd, quelli titanici e forse più autentici? E pensare che anche A Saucerful of Secrets lasciava è stato ed è un grandissimo disco, pure con Barrett ormai ridotto a convitato di pietra. E la band a 5 nel disco volante di Saucerful è lontana anni luce dai P.Floyd miliardari degli anni 70, con quel barboso e onnipresente 4/4 lento condito da super-tastiere, rumorismi - e suoni melliflui ...

Syd era sicuramente diventato un uomo vegetale o uno spaventapasseri ingestibile, aiutato da Waters e Gilmour sui due album solisti, ma è lui il vero Pink, il ghost in the machine, il fantasma nella macchina Floyd. E' lui la parte oscura della Luna, quel tocco di follia creativa che si eclisserà dal leviatano Pink Floyd. Che dire degli altri...
Su Mason e Wright, nulla da eccepire, bravissimi e riservati, forse Wright avrebbe meritato un po' più di spazio, ma sugli altri 2 si può aggiungere qualcosa. Vogliamo parlare dell'estro chitarristico di Gilmour, ma anche della sua scarsa vena compositiva senza il leader, Roger Waters? E di quest'ultimo, gran compositore ma chiuso, contradditorio, ora predicatore socialista e antimilitarista dalle ballate acustiche con glionnipresenti uccellini da Arcadia perduta (su 4 dischi 4, Ummagumma, More, Animals e The Wall, troppo!!), ora tecnocratico direttore di show e concept stramiliardari e strapagati. Anche riguardo alle liriche, Barrett appare più convincente di Waters, le cui velleità poetiche sono spesso incentrate su una ampollosa e in fondo paranoica critica alla società moderna e ai suoi meccanismi, mancante dell'agilità di Barrett, più surreale ma in fondo più convincente. La doppia morale di comunismo al caviale e salotto di Waters si svela completamente in Dark Side, il "Thriller" degli anni 70, icona planetaria del rock di quel periodo: "Money is a crime/share it fairly/but don't take a slice of my pie" suona "fesso", se si pensa che Dark Side per quei tempi costò una cifra pazzesca, con una post-produzione di circa otto mesi otto di Alan Parson. Con un apparato simile, oggi sono risibili le dichiarazioni di verginità perduta del gruppo, della serie non ce l'aspettavamo un successo simile, ora siamo in crisi.... Waters, Gilmour, Mason e Wright erano a tutti gli effetti superstar di un mercato strozzato attraverso il cartello delle principali major.
Ma io dico: solo fessi politicizzati come i Clash vendevano i dischi come Sandinista a prezzo stralciato...Vi risulta che tante rockstar pseudo-impegnate come Waters abbiano mai regalato qualcosa? Nemmeno al povero Syd, che capitò come un marziano negli studi Emi proprio durante le session di Wish you were here, l'album a lui dedicato.Grasso, calvo, Syd chiese "quando registro la mia chitarra?" e Waters gli rispose che tutte le chitarre erano già state incise e chiedendogli cosa pensasse di Wish You Were Here Syd gli rispose laconico "'Sounds a bit old." -"Ha un suono un po' vecchio" ...Waters piangeva coccodrill tears, forse per la critica? ma cortesemente Syd fu messo alla porta.
Forse aveva ragione Johnny Rotten dei Sex Pistols a metterci pure i P.Floyd nel calderone dei truffatori del rock nella canzone The Great Rock'n'Roll Swindle. "I hate Pink Floyd" recitava la scritta di una t-shirt che Johnny Rotten indossò in più di un'occasione nel '77, quando i Pistols pubblicavano Never Mind The Bollocks. "Odiavate i Pistols?" chiese un giorno un giornalista a Waters, mentre giocava a golf in campi di prestigio- e questi con calma serafica, dopo avere aggrottato la fronte rispose: "Uhm... no... non mi sembra... eravamo molto presi dalla registrazione di Animals". E questo mentre era appena iniziato il decennio nero dell'economia inglese, il "British Disease". la Gran Bretagna andava a pezzi sotto i colpi dell'IRA, dell'inflazione, dello sciopero dei minatori.
Meglio i puri ma veri Pink Floyd del 1967, o gli asettici tecnocrati musicali di The dark side of the moon? Ai posteri....

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