Un ultimo sfogo doveroso che incita all'attenzione nei confronti delle notizie web che leggete, dal prossimo assignment mi concentrerò molto di più sulla letteratura scientifica in quanto tale (un argomento più interessante e rilassante, che fa montare meno bile nei visceri). Ecco a voi.
E' strano leggere nel sesto assignment i due articoli Publish and be wrong e Why so much medical research is rot e giungere alle stesse conclusioni sulla scarsa veridicità che si annida in molte delle notizie della rete. Ricerche pubblicate in fretta e furia per "fare audience", per ottenere quei finanziamenti senza i quali è dura poterle continuare. Ma non rinfaccio questo ai ricercatori che hanno troppo presto e senza le dovute prove pubblicato i loro lavori, ma con la legge del profitto che porta una dannata fretta anche nel campo della scienza: è più importante fare scalpore che ottenere dei veri risultati.
Migliaia di siti/giornali in questi anni hanno annunciato grandi cure per il cancro, per l'AIDS. Dove sono finite tutte queste cure? Smentite o con effetti collaterali troppo gravi perchè la cura servisse davvero. Tutto ciò ricorda un po' le notizie che ogni giorno vari programmi di Mediaset e della Rai vomitano sul pubblico: alieni avvistati, alieni che parlano nelle menti delle persone, l'ordine dei templari che ha nascosto in combutta con i marziani il Santo Graal nella piramide di Cheope. Ricordo con brividi due puntate dai titoli: "Gli egiziani avevano l'energia nucleare?" e "Omero era un vichingo?". Da legarli ad una rupe, così che i rapaci si cibino di loro.
Una incredibile serie di cavolate (proprio perchè in pubblico devo trattenermi ed essere fine) ci bombarda ogni giorno, ma la cosa che mi ha stupito è che si tratta a volte di professionisti, di persone ai vertici della scienza mondiale. Possibile che per budget si debbano sperimentare troppe ipotesi allo stesso tempo sullo stesso campione per contenere il budget, come il doc. Austin ha dimostrato col suo bizzarro esperimento provocatorio.
Molti errori sono evitabili, ma non lo facciamo. Perchè? Panem et circenses, questo regola tutto, purtroppo. Applicavano questa "regola" (o meglio trucchetto) gli imperatori a Roma più di duemila anni fa e lo fanno ora politici, proprietari di network, proprietari di giornali scientifici e via dicendo.
Una tristezza. Che però, non dimentichiamolo, non riguarda tutte le pubblicazioni, ma solo una piccola parte (un terzo spero sia un'iperbole!).
Una breve nota su http://lingro.com/, un sito che ho trovato immensamente utile: finalmente un vocabolario istantaneo che non fa il casino immenso di GoogleTranslate (che traduce left sempre con"sinistra" anche in caso voglia dire "lasciato"). Utile davvero, facilita davvero la lettura di contenuti di svariate lingue (nel mio caso l'inglese basta e avanza) e soprattutto degli articoli scientifici. Quelli corretti, si spera.
How should I complete the wall?
giovedì 21 aprile 2011
Assignment 6: chi va piano, va sano e va lontano.
mercoledì 20 aprile 2011
Assignment 4: i bookmarks e la privacy
Avete molti preferiti di cui fate spesso e volentieri uso? Allora questo è il programma per voi. Per chi, come nel mio caso (sono un affezionato della buona vecchia ricerca su Google e consulto sì e no dieci siti assiduamente) ha molti "preferiti" ma ne usa solo una decina, allora è un programma del tutto inutile e decorativo.
Ma tutto ciò ha un prezzo: devi concedere a tutti (o almeno a chi gestisce il sito, in caso tu tenga privato il bookmark) di vedere i tuoi preferiti. "Che vuoi che sia" può dire qualcuno. Invece no: a me ha sempre dato profondo fastidio mettere alcunchè della mia vita su internet (già su facebook mi limito a parlare di musica, di politica e organizzare calcetti, evito sempre il personale, anche se molte foto della mia vita ci sono finite sopra. Ma pace), e mi dà fastidio pensare che qualcuno userà i dati di Delicious per stilare degli indici di gradimento, utili ad industrie, a siti con scopo di lucro e simili per conoscere i gusti del pubblico e cercare di orientarli da una parte o dall'altra.
Il problema di internet (non solo di Delicious) è anche questo. La fine della privacy (anche se odio questo termine anglofono) a favore di un mondo dove tutti sanno tutto di tutti. Insostenibile.
Non ho manie di persecuzione, non ritengo di essere controllato e cerco sempre di pensare con la mia testa; ma il fatto che ogni parte della mia vita debba essere su internet un po' mi inquieta.
Anche perchè la rete ha dimostrato la sua sicurezza con la vicenda Wikileaks, con milioni di file intercettati in rete, difese violate come fossero burro e notizie riservate (segretissime) divulgate ai quattro venti. Un trionfo di libertà? O la fine del sano "farsi i cavoli propri"? Più la seconda.
Quando su Wikileaks sono usciti i dati bancari di ricchi evasori fiscali ad Antigua e Barbuda (o Cayman, non mi ricordo), ho gioito, in fondo si trattava di smascherare truffe e illegalità. Quando han pubblicato i nomi di spie in territori ostili, molto meno: in ogni epoca ci sono stati segreti militari, spie e affini, smascherarli e mettere a repentaglio la vita di persone a mio parere non è mai una buona cosa, nemmeno al fine di rendere trasparenti le politiche internazionali.
La morale è un'altra, per tornare a Delicious: vale la pena mettere online i miei gusti politici (dai giornali che leggi si posson capire orientamenti politici), i miei gusti musicali, calcistici, sportivi, culinari, di hobbies solo per avere un sito dove conservare i preferiti? No. Mi tengo la mia barra dei preferiti di GoogleChrome e al massimo esporto il file in una chiavetta USB per non perderlo in caso di "frittura" dell'hard disk.
Punto. Per me e per i miei preferiti basta e avanza.
Di cosa parlo? Di Delicious.com e non solo. In generale mi riferisco al Social Bookmarking, il salvataggio delle pagine preferite in siti online, con la possibilità di dare alcune tag ai singoli link così da organizzarli meglio in gruppi, o, come dice Andreas (una similitudine semplice ma d'effetto):
Per chi lavora con il pc, per chi passa costantemente da un sito all'altro è fondamentale la catalogazione, e siti come GoogleBookmarks e meglio Delicious.com possono essere ottimi. Consentono di trovare subito un gruppo di preferiti, o un sito singolo, esattamente come scaffali e cassetti.Trenta marmellate di cinque tipi su più scaffali, messe tutte alla rinfusa. Dov’è finita quella di rosa canina? Ho fretta … mi arrabbio …Faccio ordine: raggruppo tutte quelle di more su uno scaffale, poi quella di prugne su un altro e così via. Perfetto, ora non ho più problemi.Non solo, mi rendo conto di avere realizzato un concetto importante: assegnando uno scaffale ad ogni tipo di marmellata ho fatto una classificazione dove ogni scaffale rappresenta una categoria.Se mi lancerò nel business della marmellata ed avrò centinaia o migliaia di barattoli, magari di venti tipi diversi, sarà sempre un gioco da ragazzi andare a trovare a colpo sicuro la marmellata di arance amare, basterà scegliere lo scaffale etichettato “arance amare”.Ecco cosa ho fatto: ho generalizzato l’impiego delle etichette associandole alla categoria anziché ai singoli barattoli e appiccicandole ad un luogo fisico, scaffale, cassetto o quello che volete.
Ma tutto ciò ha un prezzo: devi concedere a tutti (o almeno a chi gestisce il sito, in caso tu tenga privato il bookmark) di vedere i tuoi preferiti. "Che vuoi che sia" può dire qualcuno. Invece no: a me ha sempre dato profondo fastidio mettere alcunchè della mia vita su internet (già su facebook mi limito a parlare di musica, di politica e organizzare calcetti, evito sempre il personale, anche se molte foto della mia vita ci sono finite sopra. Ma pace), e mi dà fastidio pensare che qualcuno userà i dati di Delicious per stilare degli indici di gradimento, utili ad industrie, a siti con scopo di lucro e simili per conoscere i gusti del pubblico e cercare di orientarli da una parte o dall'altra.
Il problema di internet (non solo di Delicious) è anche questo. La fine della privacy (anche se odio questo termine anglofono) a favore di un mondo dove tutti sanno tutto di tutti. Insostenibile.
Non ho manie di persecuzione, non ritengo di essere controllato e cerco sempre di pensare con la mia testa; ma il fatto che ogni parte della mia vita debba essere su internet un po' mi inquieta.
Anche perchè la rete ha dimostrato la sua sicurezza con la vicenda Wikileaks, con milioni di file intercettati in rete, difese violate come fossero burro e notizie riservate (segretissime) divulgate ai quattro venti. Un trionfo di libertà? O la fine del sano "farsi i cavoli propri"? Più la seconda.
Quando su Wikileaks sono usciti i dati bancari di ricchi evasori fiscali ad Antigua e Barbuda (o Cayman, non mi ricordo), ho gioito, in fondo si trattava di smascherare truffe e illegalità. Quando han pubblicato i nomi di spie in territori ostili, molto meno: in ogni epoca ci sono stati segreti militari, spie e affini, smascherarli e mettere a repentaglio la vita di persone a mio parere non è mai una buona cosa, nemmeno al fine di rendere trasparenti le politiche internazionali.
La morale è un'altra, per tornare a Delicious: vale la pena mettere online i miei gusti politici (dai giornali che leggi si posson capire orientamenti politici), i miei gusti musicali, calcistici, sportivi, culinari, di hobbies solo per avere un sito dove conservare i preferiti? No. Mi tengo la mia barra dei preferiti di GoogleChrome e al massimo esporto il file in una chiavetta USB per non perderlo in caso di "frittura" dell'hard disk.
Punto. Per me e per i miei preferiti basta e avanza.
Assignment 3: il valore delle connessioni
Coltivare le connessioni, a ciò incita l'articolo omonimo http://dl.dropbox.com/u/3592556/Coltivare-Le-Connessioni.pdf, un brano atipico, almeno per me, dato che mai avevo letto un testo composto in parte da post e commenti ad uno scritto originario. Non male, l'effetto, una piacevole novità.
Al di là della insolita tipologia di testo che mi sono trovato davanti, sono rimasto affascinato dal paragone tra il PLE (l'insieme di connessioni sviluppate) dei bambini di Don Milani a Barbiana e i moderni collegamenti informatici, gli hyperlink, che rendono possibili collegamenti trasversali tra materie, tra discorsi diversi e siti di nazioni lontanissime tra loro.
Al di là del fatto che ho sempre ammirato molto Don Milani, sono persino andato a Barbiana parecchio tempo fa, giusto per omaggiare un grande uomo di cui ho letto qualche lettera, su cui ho visto un ottimo film (magnifico Castellitto) e che forse è uno dei più grandi ribelli della nostra epoca. Un ribelle? Sì, un ribelle, perchè pur isolato in un minuscolo paesino in un luogo impervio, pur se scomodo alle istituzioni (soprattutto quelle clericali) ha lottato perchè tutti fossero uguali e istruiti alla stessa maniera, i contadini come i nobili.
E, per chi rispondeva "ma a me che importa di queste cose?" coniò uno dei motti più belli che abbia mai sentito, un motto breve e diretto, così facile eppur così potente: I care.
Un "mi importa", un "mi interessa", un "ho a cuore" qualsiasi cosa succeda, ovunque e a chiunque, e soprattutto una forte risposta (ancora oggi purtroppo sarebbe il caso di riutilizzarla con gran parte del popolo italiano e mondiale, dato che la tendenza al menefreghismo sta diventando una vera e propria patologia) a quelle persone che vivono nel loro angolino, portando acqua al proprio mulino e coltivando solo il loro piccolo orticello, anche a discapito degli altri.
Ebbene, io mi auguro davvero di riuscire ad avere tutto a cuore, con i dovuti discrimini (tutto tutto è senza dubbio impossibile), ma comunque di interessarmi di più cose possibili, di conoscere e di sentire come mie le cose che avvengono nel mondo. Gli esempi che mi saltano alla mente sono sempre le guerre etniche in Africa, i fondamentalismi religiosi, la censura estrema e le condizioni disumane di lavoratori e bambini nella zona indocinese, ma di simili massacri, nefandezze e orrori dettati dalla semplice ignoranza se ne potrebbero elencare all'infinito.
Quello che dico non è una novità, non è nemmeno un discorso da vecchio predicatore. E' una speranza, la speranza prima di tutto per me stesso di avere a cuore più cose possibili (nella vita come nel lavoro che ho scelto) e successivamente di vedere crescere nuove generazioni sempre più interessate al mondo che le circonda.
Conclusa la parentesi su Don Milani (quando qualcosa mi interessa posso parlarne per anni, ahimè) voglio finire velocemente, sennò chi legge (e anche il povero Andreas, che di commenti ne deve leggere centinaia al giorno) perde interesse e mi manda al diavolo, ritornando all'argomento connessioni.
Don Milani avrebbe apprezzato molto internet, ne sono sicuro. Non avrebbe apprezzato il modo in cui per lo più viene usato (pornografia e propaganda pubblicitaria), ma ne avrebbe subito ammirato la rapidità diffusiva, la possibilità di garantire connessioni veloci e rapidi passaparola.
Sì, il confronto fra persone porta sempre e solo miglioramenti. Sembra un assioma troppo vago e troppo ottimista, ma di questo sono sicuro: per abbattere i muri dell'ignoranza internet può essere una delle chiavi.
Anche i Pink Floyd, in un certo senso, avevano in mente un'idea di istruzione simile a Don Milani: nella famosa canzone Another Brick in The Wall-Parte II (che ho sentito purtroppo storpiata e violentata in ritmi da discoteca) viene denunciata una scuola che controlla i pensieri, che non permette loro di volare liberi da un ramo all'altro, stabilendo connessioni in continuo movimento ed in continua evoluzione. Bisogna lasciari trasportare, come diceva Don Milani, bisogna interessarsi di tutto e uscire talvolta dagli schemi.
Il muro va abbattutto. E internet, se usato bene, una bella picconata la può dare.
Al di là della insolita tipologia di testo che mi sono trovato davanti, sono rimasto affascinato dal paragone tra il PLE (l'insieme di connessioni sviluppate) dei bambini di Don Milani a Barbiana e i moderni collegamenti informatici, gli hyperlink, che rendono possibili collegamenti trasversali tra materie, tra discorsi diversi e siti di nazioni lontanissime tra loro.
Al di là del fatto che ho sempre ammirato molto Don Milani, sono persino andato a Barbiana parecchio tempo fa, giusto per omaggiare un grande uomo di cui ho letto qualche lettera, su cui ho visto un ottimo film (magnifico Castellitto) e che forse è uno dei più grandi ribelli della nostra epoca. Un ribelle? Sì, un ribelle, perchè pur isolato in un minuscolo paesino in un luogo impervio, pur se scomodo alle istituzioni (soprattutto quelle clericali) ha lottato perchè tutti fossero uguali e istruiti alla stessa maniera, i contadini come i nobili.
E, per chi rispondeva "ma a me che importa di queste cose?" coniò uno dei motti più belli che abbia mai sentito, un motto breve e diretto, così facile eppur così potente: I care.
Un "mi importa", un "mi interessa", un "ho a cuore" qualsiasi cosa succeda, ovunque e a chiunque, e soprattutto una forte risposta (ancora oggi purtroppo sarebbe il caso di riutilizzarla con gran parte del popolo italiano e mondiale, dato che la tendenza al menefreghismo sta diventando una vera e propria patologia) a quelle persone che vivono nel loro angolino, portando acqua al proprio mulino e coltivando solo il loro piccolo orticello, anche a discapito degli altri.
Ebbene, io mi auguro davvero di riuscire ad avere tutto a cuore, con i dovuti discrimini (tutto tutto è senza dubbio impossibile), ma comunque di interessarmi di più cose possibili, di conoscere e di sentire come mie le cose che avvengono nel mondo. Gli esempi che mi saltano alla mente sono sempre le guerre etniche in Africa, i fondamentalismi religiosi, la censura estrema e le condizioni disumane di lavoratori e bambini nella zona indocinese, ma di simili massacri, nefandezze e orrori dettati dalla semplice ignoranza se ne potrebbero elencare all'infinito.
Quello che dico non è una novità, non è nemmeno un discorso da vecchio predicatore. E' una speranza, la speranza prima di tutto per me stesso di avere a cuore più cose possibili (nella vita come nel lavoro che ho scelto) e successivamente di vedere crescere nuove generazioni sempre più interessate al mondo che le circonda.
Conclusa la parentesi su Don Milani (quando qualcosa mi interessa posso parlarne per anni, ahimè) voglio finire velocemente, sennò chi legge (e anche il povero Andreas, che di commenti ne deve leggere centinaia al giorno) perde interesse e mi manda al diavolo, ritornando all'argomento connessioni.
Don Milani avrebbe apprezzato molto internet, ne sono sicuro. Non avrebbe apprezzato il modo in cui per lo più viene usato (pornografia e propaganda pubblicitaria), ma ne avrebbe subito ammirato la rapidità diffusiva, la possibilità di garantire connessioni veloci e rapidi passaparola.
Sì, il confronto fra persone porta sempre e solo miglioramenti. Sembra un assioma troppo vago e troppo ottimista, ma di questo sono sicuro: per abbattere i muri dell'ignoranza internet può essere una delle chiavi.
Anche i Pink Floyd, in un certo senso, avevano in mente un'idea di istruzione simile a Don Milani: nella famosa canzone Another Brick in The Wall-Parte II (che ho sentito purtroppo storpiata e violentata in ritmi da discoteca) viene denunciata una scuola che controlla i pensieri, che non permette loro di volare liberi da un ramo all'altro, stabilendo connessioni in continuo movimento ed in continua evoluzione. Bisogna lasciari trasportare, come diceva Don Milani, bisogna interessarsi di tutto e uscire talvolta dagli schemi.
Il muro va abbattutto. E internet, se usato bene, una bella picconata la può dare.
Assignment 1 coda: La veridicità delle informazioni online
La verità online
Il vero problema dell'informazione, sia essa cartacea o intessuta nelle maglie della rete internet, è capire se le notizie riportante in un articolo, in un libro, in un post o in un giornale siano vere o siano invece delle fandonie per attirare attenzione.
Si leggono continuamente fatti affermati in una testata giornalistica, smentiti subito da un'altra; senza il minimo controllo sulla veridicità dell'accaduto. La verità è importante, e non dovrebbe essere messa in disparte e calpestata solo per aumentare un po' la cassa di risonanza del proprio sito, della propria testata giornalistica e simili. Con ciò non voglio dire che sia sempre necessario mettere in rete la verità (sono fortemente contrario ad alcune delle scelte fatte da Wikileaks, che, mettendo in rete i nomi di alcune spie afgane in contatto con gli americani, hanno di fatto condannato a morte alcuni uomini) qualcosa a parer mio è meglio che resti nascosto; ma sono convinto che qualora si decida di scrivere qualcosa, bisogna accertarsi che la cosa scritta corrisponda a verità.
L'esempio di Twitter mi sembra però poco in tema, perchè Twitter, esattamente come un giornale, un articolo o un post, è estremamente soggettivo: in un messaggio di cinquanta/cento/centocinquanta caratteri una persona può sì scrivere la propria opinione, ma chi assicura che quella opinione sia la verità?
Io posso benissimo scrivere ora su Twitter di essere stato appena incoronato Sultano del Brunei, ma chi assicura a coloro che leggono che ciò sia vero? Nessuno. Anzi.
Twitter a parer mio è, al pari in questo caso di Facebook, un buono strumento sociologico per capire le opinioni e i pensieri delle persone, ma assolutamente nullo come strumento informativo (inteso come portatore di corretta informazione).
Al contrario può trasformarsi da propagatore di libertà e simbolo della potenza comunicativa della nuova era a tomba della libertà stessa. Mi spiego: con i social network, come Facebook e come Twitter, e come era MySpace ai suoi tempi, è possibile per chiunque entrare nella tua vita privata, per qualsiasi azienda sapere come sono orientati i tuoi gusti, sapere come passi i sabati sera e cosa ti piace mangiare a colazione. Per me questo controllo totale, questo Grande Fratello Orwelliano è la morte del libero arbitrio dell'individuo per cui tanto si è lottato nella Storia.
Internet può essere sorgente sempre fresca di libertà; ma allo stesso tempo, silenziosamente, mangiarti ogni giorno una briciola del tuo mondo privato.
Il vero problema dell'informazione, sia essa cartacea o intessuta nelle maglie della rete internet, è capire se le notizie riportante in un articolo, in un libro, in un post o in un giornale siano vere o siano invece delle fandonie per attirare attenzione.
Si leggono continuamente fatti affermati in una testata giornalistica, smentiti subito da un'altra; senza il minimo controllo sulla veridicità dell'accaduto. La verità è importante, e non dovrebbe essere messa in disparte e calpestata solo per aumentare un po' la cassa di risonanza del proprio sito, della propria testata giornalistica e simili. Con ciò non voglio dire che sia sempre necessario mettere in rete la verità (sono fortemente contrario ad alcune delle scelte fatte da Wikileaks, che, mettendo in rete i nomi di alcune spie afgane in contatto con gli americani, hanno di fatto condannato a morte alcuni uomini) qualcosa a parer mio è meglio che resti nascosto; ma sono convinto che qualora si decida di scrivere qualcosa, bisogna accertarsi che la cosa scritta corrisponda a verità.
L'esempio di Twitter mi sembra però poco in tema, perchè Twitter, esattamente come un giornale, un articolo o un post, è estremamente soggettivo: in un messaggio di cinquanta/cento/centocinquanta caratteri una persona può sì scrivere la propria opinione, ma chi assicura che quella opinione sia la verità?
Io posso benissimo scrivere ora su Twitter di essere stato appena incoronato Sultano del Brunei, ma chi assicura a coloro che leggono che ciò sia vero? Nessuno. Anzi.
Twitter a parer mio è, al pari in questo caso di Facebook, un buono strumento sociologico per capire le opinioni e i pensieri delle persone, ma assolutamente nullo come strumento informativo (inteso come portatore di corretta informazione).
Al contrario può trasformarsi da propagatore di libertà e simbolo della potenza comunicativa della nuova era a tomba della libertà stessa. Mi spiego: con i social network, come Facebook e come Twitter, e come era MySpace ai suoi tempi, è possibile per chiunque entrare nella tua vita privata, per qualsiasi azienda sapere come sono orientati i tuoi gusti, sapere come passi i sabati sera e cosa ti piace mangiare a colazione. Per me questo controllo totale, questo Grande Fratello Orwelliano è la morte del libero arbitrio dell'individuo per cui tanto si è lottato nella Storia.
Internet può essere sorgente sempre fresca di libertà; ma allo stesso tempo, silenziosamente, mangiarti ogni giorno una briciola del tuo mondo privato.
venerdì 8 aprile 2011
Goodbye, Blue Sky
Un saluto veloce, dato che riprenderò il blog e completerò assignment e pubblicherò nuove news sui Floyd solo a partire dalla settimana prossima, causa esame di Anatomia incombente. Goodbye blue sky come titolo è perfetto per le mie giornate da ora in poi: e chi lo vede più il blu del cielo primaverile?
Del brano (che adoro) parlerò bene quando potrò: perdonatemi per ora, e iniziate a godervelo. Due ottimi siti inglesi dove è commentata e spiegata alla perfezione sono: http://www.thewallanalysis.com/main/goodbye-blue-sky.html e http://www.rogerwaters.org/eshepart.html.
GOODBYE BLUE SKY
PINK FLOYD - THE WALL
Oooooooo ooo ooo ooooh
Did you see the frightened ones
Did you hear the falling bombs
Did you ever wonder
Why we had to run for shelter
When the promise of a brave new world
Unfurled beneath a clear blue sky
Oooooooo ooo ooooo oooh
Did you see the frightened ones
Did you hear the falling bombs
The flames are all long gone
But the pain lingers on
Goodbye blue sky
Goodbye blue sky
Goodbye
Goodbye
Did you see the frightened ones
Did you hear the falling bombs
Did you ever wonder
Why we had to run for shelter
When the promise of a brave new world
Unfurled beneath a clear blue sky
Oooooooo ooo ooooo oooh
Did you see the frightened ones
Did you hear the falling bombs
The flames are all long gone
But the pain lingers on
Goodbye blue sky
Goodbye blue sky
Goodbye
Goodbye
Composizione
È introdotto dal suono di alcuni uccelli che cinguettano e dalla frase "Look mummy, there's an aeroplane up in the sky!", pronunciato da un bambino (il piccolo Harry Waters, figlio di 2 anni di Roger). Durante tutta la canzone una chitarra acustica e, in alcune sezioni, un coro accompagnano la voce di David Gilmour.
La canzone inizia con un tono tranquillo e sereno, ma, man mano che va avanti, assume un tono sempre più aspro e sinistro. Durante gli ultimi secondi del brano si sentono distintamente rumori di un aeroporto.
Il brano presenta alcune somiglianze con la canzone Grantchester Meadows presente nell'album Ummagumma.
Trama
Come le altre canzoni nell'album The Wall, "Goodbye Blue Sky" narra una parte della storia di Pink, il protagonista.
La canzone spiega la depressione di Pink come il risultato di un'infanzia vissuta nel periodo del dopoguerra sotto le sole attenzioni di una madre iperprotettiva, dopo che il padre era morto in guerra, prima che lui nascesse. Si capisce anche il trauma che le conseguenze della guerra gli hanno causato.
I rumori di un aeroporto che si sentono in sottofondo alla fine del brano suggeriscono che Pink stia andando negli Stati Uniti, per cercare di diventare una rock star e dimenticare il passato.
La canzone spiega la depressione di Pink come il risultato di un'infanzia vissuta nel periodo del dopoguerra sotto le sole attenzioni di una madre iperprotettiva, dopo che il padre era morto in guerra, prima che lui nascesse. Si capisce anche il trauma che le conseguenze della guerra gli hanno causato.
I rumori di un aeroporto che si sentono in sottofondo alla fine del brano suggeriscono che Pink stia andando negli Stati Uniti, per cercare di diventare una rock star e dimenticare il passato.
Versione video
Nel film Pink Floyd The Wall il filmato consiste in una serie di animazioni create da Gerald Scarfe. Solo la prima scena è filmata nella realtà.
Il filmato inizia con l'immagine di un colomba in un giardino di una casa che, inseguita da un gatto, vola via. Da questo punto in poi il filmato è interamente composto da animazioni. La colomba esplode violentemente nel cielo e viene rimpiazzata da un'enorme uccello nero dall'aspetto meccanico, allusione all'aquila simbolo del Terzo Reich (dettaReichsadler). L'enorme volatile simile ad un aereo sorvola il territorio inglese e chinandosi a terra strappa con gli artigli un pezzo di suolo, dal quale esce del sangue come se fosse una ferita. Nella scena seguente appare un gigantesco verme dal terreno, che si trasforma in un'enorme costruzione a metà tra un hangar e una cattedrale dalla quale escono numerosi aerei da combattimento che bombardano Londra. Il video è dichiaratamente una citazione del Blitz, la campagna di bombardamenti a tappeto che i tedeschi scatenarono sul suolo inglese dal 7 settembre 1940 al 10 maggio 1941. La scena cambia inquadrando persone nude che indossano una maschera antigas (the frightened onescioè gli spaventati) e che cercano di ripararsi dallo sgancio di bombe.
Nelle scene successive viene sottolineata la distruzione che la guerra ha portato al Regno Unito: la Union Jack e gli aerei militari si trasformano in croci e l'aquila nazista ride guardando le rovine della città. Il filmato termina con la colomba che lo ha aperto, che vola tra scheletri in divisa, simbolo degli aviatori inglesi caduti, il cui sangue rifluisce in una fogna. Si tratta di una delle sequenze più drammatiche di tutto il film; contiene un chiaro messaggio pacifista, e forse una velata critica all'incapacità da parte degli Stati (in questo caso l'Inghilterra) di difendere i civili dagli orrori della guerra.
Il filmato inizia con l'immagine di un colomba in un giardino di una casa che, inseguita da un gatto, vola via. Da questo punto in poi il filmato è interamente composto da animazioni. La colomba esplode violentemente nel cielo e viene rimpiazzata da un'enorme uccello nero dall'aspetto meccanico, allusione all'aquila simbolo del Terzo Reich (dettaReichsadler). L'enorme volatile simile ad un aereo sorvola il territorio inglese e chinandosi a terra strappa con gli artigli un pezzo di suolo, dal quale esce del sangue come se fosse una ferita. Nella scena seguente appare un gigantesco verme dal terreno, che si trasforma in un'enorme costruzione a metà tra un hangar e una cattedrale dalla quale escono numerosi aerei da combattimento che bombardano Londra. Il video è dichiaratamente una citazione del Blitz, la campagna di bombardamenti a tappeto che i tedeschi scatenarono sul suolo inglese dal 7 settembre 1940 al 10 maggio 1941. La scena cambia inquadrando persone nude che indossano una maschera antigas (the frightened onescioè gli spaventati) e che cercano di ripararsi dallo sgancio di bombe.
Nelle scene successive viene sottolineata la distruzione che la guerra ha portato al Regno Unito: la Union Jack e gli aerei militari si trasformano in croci e l'aquila nazista ride guardando le rovine della città. Il filmato termina con la colomba che lo ha aperto, che vola tra scheletri in divisa, simbolo degli aviatori inglesi caduti, il cui sangue rifluisce in una fogna. Si tratta di una delle sequenze più drammatiche di tutto il film; contiene un chiaro messaggio pacifista, e forse una velata critica all'incapacità da parte degli Stati (in questo caso l'Inghilterra) di difendere i civili dagli orrori della guerra.
Cover
- La band The Future Sound of London ha fatto una cover della canzone dal titolo "Goodbye Sky".
- La cantante della band Heart, Ann Wilson, ha inciso una cover del brano per il suo singolo del 2007 Hope & Glory con sua sorella Nancy Wilson.
- Una cover del brano eseguita da Tim Myer è inclusa nell'album tributo ai Pink Floyd A Fair Forgery of Pink Floyd.
- La band System of a Down spesso esegue una cover del brano durante i suoi concerti dal vivo.
Esecutori
- Roger Waters - VCS3, basso .
- David Gilmour - voce, chitarra acustica, sintetizzatore.
- Richard Wright - sintetizzatore.
- Harry Waters - voce del bambino.
domenica 3 aprile 2011
File MIDI dei Floyd: cosa farne?
Ho scoperto da poco cos'è un file MIDI, e vi allego una definizione di Wikipedia nel caso non conosciate questo tipo di file musicale. Sono scettico, ascoltando alcuni MIDI dei Pink Floyd sul loro uso e sulla loro effettiva utilità: non vorrei che servissero solo a deturpare gli ottimi brani Floyddiani per farne una porcata di remake elettronico. Ma non si può mai sapere.
Con l'acronimo MIDI (Musical Instrument Digital Interface) si indica il protocollo standard per l'interazione degli strumenti musicalielettronici (anche tramite un computer).
Il MIDI è, da una parte, un linguaggio informatico, ossia una serie di specifiche che danno vita al protocollo; dall'altra, un'interfaccia hardware che consente il collegamento fisico tra vari strumenti.
Entrambi questi aspetti sarebbero probabilmente sostituibili da sistemi più performanti, nonostante ciò, il MIDI, nato negli anni ottanta, è rimasto pressoché inalterato ed è intensamente utilizzato nella produzione di musica digitale. I motivi risiedono probabilmente nel ruolo di standard, pressoché incontrastato, che il MIDI ha assunto nell'ambito musicale, e nella cura riposta dai progettisti nella stesura delle prime specifiche.
Di fatto, il MIDI ha peculiarità interessanti su più fronti:
- La qualità e la praticità del sistema. L'integrazione tra eventi Audio ed eventi MIDI ha dimostrato di essere una mossa vincente, confermando l'importanza di questo standard nella realizzazione di musica digitale.
- La leggerezza dei file MID (in termini di kB). Tramite Internet ed i software multimediali, il MIDI diventa un media di uso comune non più appannaggio esclusivo dei musicisti.
- La diffusione di basi di livello qualitativo sempre maggiore. Fatto che ha permesso a molti musicisti di svolgere con facilità e qualità il proprio lavoro.
- Il costo. Molti produttori hardware e software puntano sulla multimedialità dei propri prodotti. Con un investimento minimo, o ricorrendo a programmi freeware, è possibile per ognuno disporre di un computer in grado di realizzare produzioni musicali di buon livello.
Nonostante ciò, essendo per me una novità, voglio condividere con voi questi file, che sono di per sè leggerissimi e magari possono avere una qualche utilizzo che mi impegnerò a scoprire al più presto. Se qualcuno ne sa di più, lo dica!
The piper at the gates of dawn.zip 15.9kb
The dark side of the moon 91.2kb
Wish you were here.zip 101kb
Animals.zip 10.8kb
The Wall.zip 82.5kb
The final cut.zip 14.7kb
A momentary lapse of reason.zip 31.5kb
The division bell.zip 49.9
The dark side of the moon 91.2kb
Wish you were here.zip 101kb
Animals.zip 10.8kb
The Wall.zip 82.5kb
The final cut.zip 14.7kb
A momentary lapse of reason.zip 31.5kb
The division bell.zip 49.9
Da "La Stampa", impressioni sul The Wall Tour di Roger Waters
"Il tour di "The Wall" è un'impresa titanica e non ero sicuro di farcela ma il pubblico gradisce"
LUCA DONDONI
MILANO
Se siete fra i fortunati che l'1, 2, 4 e 5 aprile saranno al Forum di Assago a cantar le note di Another brick in the Wall con Roger Waters, non vi siete fatti sfuggire il concertoevento del 2011 e l'ultima occasione per vedere sul palco chi, dei Pink Floyd, era il nume tutelare. «Non riesco ad immaginarmi a 80 anni in un tour di 55 date», ha detto infatti Waters qualche giorno fa. Lo spettacolo ripropone lo storico doppio album The Wall(tutti i brani nella sequenza originale, più l'inedita What Shall We Do Now ) festeggiandone il 30˚ anniversario. E' la prima volta che l'opera viene messa in scena negli ultimi vent'anni e le tappe europee sono attese anche perché l'allestimento scenografico è diverso dall' originale dell'80 e i contenuti «testuali» molto più politici. Il piatto forte è uno schermo enorme su cui verrà proiettato il muro che crolla così come lo vedemmo dal vivo nello storico «live» berlinese. Il tour europeo è partito da Lisbona il 21 marzo e Rolling Stone Itali a in edicola domani pubblica l'intervista esclusiva a Roger Waters: «Ai tempi dei Pink Floyd ero ricco e famoso ma arrabbiato e infelice».
«"La paura alza i muri", è scritto in un graffito a Gerusalemme - dice Waters - il mondo è ancora pieno di muri. Il motore di The wall fu il ricordo di mio padre morto in guerra ma ci sono ancora tanti papà impegnati nei conflitti, molte famiglie, soprattutto negli Usa, che hanno perso parenti in Medio Oriente. Oggi chi ha alle spalle una storia come la mia non scrive The Wall ma va a raccontarla nei reality show. Si diventa famosi senza saper far nulla. La tv è il vero oppio dei popoli perché foraggia consumismo e propaganda e crea dipendenza. Nonostante i social network la gente non riesce ancora a comunicare e a scambiarsi le idee».
67 anni e un fisico ancora possente, oggi Waters è un ricco signore inglese che ha scelto di vivere negli esclusivissimi Hamptons (vicino a New York) ma non ha smesso di amare il palco. «Non si può mettere in piedi un circo e fare vedere le pulci ammaestrate - dice - ma devi mostrare gli elefanti e i leoni. Questa è un'impresa titanica e non ero sicuro di farcela ma sembra che il pubblico gradisca». Il proclama più politico dello spettacolo è in Mother con un video che scorre alle spalle dell'artista dove telecamere di sorveglianza, che tutto sentono e tutto vedono, ricordano molto il Grande Fratello orwelliano. Prima di salutarlo il giornalista di Rolling Stone non può evitare la classica domanda sulla divisione dei Pink Floyd. Cosa è successo veramente fra Roger Waters e David Gilmour? «E' stata colpa nostra - racconta il cantante - Siamo cresciuti in modi diversi e non avevo più voglia di litigare. Musicalmente, politicamente, filosoficamente avevamo visioni diverse e lo scontro è stato inevitabile. Doveva finire così». Ed è tutto.
«"La paura alza i muri", è scritto in un graffito a Gerusalemme - dice Waters - il mondo è ancora pieno di muri. Il motore di The wall fu il ricordo di mio padre morto in guerra ma ci sono ancora tanti papà impegnati nei conflitti, molte famiglie, soprattutto negli Usa, che hanno perso parenti in Medio Oriente. Oggi chi ha alle spalle una storia come la mia non scrive The Wall ma va a raccontarla nei reality show. Si diventa famosi senza saper far nulla. La tv è il vero oppio dei popoli perché foraggia consumismo e propaganda e crea dipendenza. Nonostante i social network la gente non riesce ancora a comunicare e a scambiarsi le idee».
67 anni e un fisico ancora possente, oggi Waters è un ricco signore inglese che ha scelto di vivere negli esclusivissimi Hamptons (vicino a New York) ma non ha smesso di amare il palco. «Non si può mettere in piedi un circo e fare vedere le pulci ammaestrate - dice - ma devi mostrare gli elefanti e i leoni. Questa è un'impresa titanica e non ero sicuro di farcela ma sembra che il pubblico gradisca». Il proclama più politico dello spettacolo è in Mother con un video che scorre alle spalle dell'artista dove telecamere di sorveglianza, che tutto sentono e tutto vedono, ricordano molto il Grande Fratello orwelliano. Prima di salutarlo il giornalista di Rolling Stone non può evitare la classica domanda sulla divisione dei Pink Floyd. Cosa è successo veramente fra Roger Waters e David Gilmour? «E' stata colpa nostra - racconta il cantante - Siamo cresciuti in modi diversi e non avevo più voglia di litigare. Musicalmente, politicamente, filosoficamente avevamo visioni diverse e lo scontro è stato inevitabile. Doveva finire così». Ed è tutto.
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